Somministrazione

Scheda sintetica

La somministrazione di lavoro è stata introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 276/2003.

Prima di allora, la Legge 1369/1960 vietava, come regola generale, che il lavoratore potesse intrattenere rapporti di lavoro con un soggetto diverso da quello che, organizzando il suo lavoro ed esercitando su di lui il potere direttivo, utilizzava la sua prestazione.

Una prima, significativa deroga a tale divieto si è avuta con la Legge 196/1997, che ha introdotto il lavoro interinale, che era tuttavia consentito solo a termine e solo in presenza di ben circoscritte ipotesi previste dalla contrattazione collettiva.

Il D.Lgs. 276/2003 ha completamente rinnovato la materia in esame, disponendo che un’impresa, denominata “utilizzatrice”, possa rivolgersi a un’altra impresa (debitamente autorizzata), denominata “di somministrazione”, al fine di ottenere una certa fornitura di manodopera, e con essa concludere, appunto, un contratto di somministrazione.

Il contratto di somministrazione di lavoro – ovverosia il contratto che regola i rapporti tra utilizzatore e agenzia somministratrice – può essere a tempo indeterminato (c.d. staff leasing) ovvero a termine.

Il lavoratore, utilizzato nell’ambito di questo contratto, svolge la sua attività lavorativa per l’utilizzatore, sotto la sua direzione e controllo, ma intrattiene un rapporto di lavoro solo nei confronti del somministratore, al quale spetta l’esercizio del potere disciplinare.

Inoltre, la legge elenca in maniera definita i casi nei quali è vietato ricorrere al contratto di somministrazione e, in caso di somministrazione irregolare o fraudolenta, prevede specifiche tutele a garanzia del lavoratore.

Per quanto riguarda gli aspetti formali del contratto di somministrazione è obbligatoria la forma scritta, la cui mancanza rende illegittimo il contratto e ne determina la trasformazione a tempo indeterminato in capo all’utilizzatore.

Particolare attenzione deve essere prestata ad aspetti quali il trattamento retributivo e normativo del lavoratore somministrato (che non può essere complessivamente inferiore a quello dei dipendenti dell’utilizzatore), nonché ai diritti e alle tutele sindacali.

Inoltre, il lavoratore somministrato, al pari di qualsiasi altro lavoratore, deve essere utilizzato per le mansioni indicate nel contratto. Qualora viceversa venga utilizzato per mansioni diverse è possibile proporre specifiche azioni di tutela.

Va segnalato che la somministrazione di lavoro ha subito un’evoluzione legislativa alquanto travagliata: successivamente alle modifiche introdotte alla regolamentazione originaria da parte del cd. decreto Poletti, la disciplina è stata oggetto di una complessiva rivisitazione nell’ambito delle riforme introdotte con il c.d. Jobs Act, venendo poi in parte riformata anche dal d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito dalla l. 9 agosto 2018, n. 96.

In particolare, il decreto legislativo n. 81 del 2015, entrato in vigore il 25 giugno 2015, aveva disposto l’integrale abrogazione della disciplina dettata dagli articoli da 20 a 28 del d.lgs. 276/03 e la sua sostituzione con quella contenuta negli articoli da 30 a 40 del nuovo decreto.

Tra le novità introdotte dalla riforma del 2015, spiccava, da un lato, l’eliminazione dell’elenco tassativo di causali legittimanti la somministrazione a tempo indeterminato e, dall’altro, la conferma della scelta, già operata dal d.l. 34/2014, di non subordinare la possibilità di sottoscrivere un contratto di somministrazione a tempo determinato alla necessaria indicazione di apposite ragioni produttive, tecniche, organizzative o sostitutive.

Il d.l. 87/2018, invece, ha modificato esclusivamente la disciplina della somministrazione a termine, tentando di renderla coerente con la nuova regolamentazione prevista per il contratto a tempo determinato. In particolare, la riforma ha rivisto i limiti di contingentamento per il ricorso ai lavoratori somministrati e, soprattutto, ha modificato la disciplina del rapporto tra somministratore e lavoratore, prevedendo che si estenda anche ai rapporti tra agenzia e lavoratori pressoché l’intera disciplina del contratto a tempo determinato, compreso il regime delle causali -avendo però riguardo in questo caso alle esigenze dell’utilizzatore-.

Infine, sempre in un’ottica di limitazione degli abusi, è stata reinserita la somministrazione fraudolenta.

Normativa

  • Legge 191/2009 (finanziaria 2010)
  • Legge 24 dicembre 2007, n. 247
  • Decreto Legislativo 276/2003
  • Decreto Legislativo 368/2001
  • Legge 14 febbraio 2003, n. 30
  • Legge 20 maggio 1970, n. 300 “Statuto dei lavoratori”
  • Legge 28 giugno 2012 n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
  • Decreto Legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 99
  • Decreto Legge 30 marzo 2014, n. 34, convertito in Legge 16 maggio 2014, n. 78
  • Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in materia di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
  • Decreto Legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito in Legge 9 agosto 2018, n. 96.

 

Cosa fare – Tempi

In caso di dubbi sull’illegittimità o irregolarità del contratto di somministrazione è importante agire tempestivamente, assumendo informazioni preferibilmente prima della fine del contratto.

In ogni caso, una volta terminato il contratto, l’eventuale azione di tutela deve essere posta in atto il più rapidamente possibile, soprattutto nel caso in cui fosse ragionevolmente possibile chiedere la riammissione in servizio.

A chi rivolgersi

  • Ufficio vertenze sindacale
  • Studio legale specializzato in diritto del lavoro

 

Scheda di approfondimento

La somministrazione di lavoro è stata introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 276/2003 ed è oggi disciplinata dagli articoli da 30 a 40 del decreto legislativo n. 81 del 2015, così come modificato dal d.l. 7 luglio 2018, n. 87, conv. in l. 9 agosto 2018, n. 96.

Ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. 81/2015, per contratto di somministrazione si intende “il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”.

L’attività di somministrazione può essere esercitata da soggetti abilitati (denominati agenzie di somministrazione) iscritti a un apposito albo.

Le agenzie di somministrazione possono costituirsi in forma di società di capitali o cooperativa e devono avere la disponibilità di uffici e di personale adeguato; inoltre, gli amministratori e i soggetti responsabili devono rispondere a determinati requisiti di onorabilità.

A seconda del tipo di attività svolta, le agenzie di somministrazione devono disporre di un capitale sociale minimo e sono vincolate al versamento di un deposito cauzionale a titolo di garanzia.

La somministrazione introduce uno schema “triangolare” nel rapporto di lavoro tra i seguenti soggetti: il somministratore, l’utilizzatore e il/i lavoratore/i.

Per tutta la durata della somministrazione, infatti, i lavoratori svolgono la loro attività alle dipendenze dell’agenzia di somministrazione, ma nell’interesse e sotto la direzione ed il controllo dell’azienda utilizzatrice.

La somministrazione si caratterizza, quindi, per la scissione tra la titolarità del rapporto di lavoro (che fa capo all’agenzia somministratrice) e l’effettiva utilizzazione del lavoratore che compete all’utilizzatore.

Il contratto di somministrazione di lavoro stipulato tra somministratore e utilizzatore può essere a termine o a tempo indeterminato; la somministrazione a tempo indeterminato (c.d. staff leasing) , in un primo momento abolita dalla Legge 247/2007, è stata successivamente reintrodotta dalla Legge 191/2009 (finanziaria 2010).

Originariamente, lo staff leasing era ammesso solo in relazione a una serie di attività specificatamente indicate dal legislatore – tra cui i servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, i servizi di pulizia, custodia, portineria, trasporto, la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, servizi di economato e così via (art. 20, comma 3, D.lgs. 276/2003) –, con facoltà per la contrattazione collettiva di individuare altre ipotesi nelle quali ricorrere a questo tipo di somministrazione.

La riforma del 2015 ha eliminato l’elenco tassativo di causali legittimanti la somministrazione a tempo indeterminato, procedendo così a una piena liberalizzazione dello staff leasing.

L’attuale disciplina contempla, tuttavia, una clausola di contingentamento: ai sensi del primo comma dell’art. 31 del d.lgs. 81/2015, infatti, il numero dei lavoratori somministrati con contratto di somministrazione a tempo indeterminato non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula del contratto (nel caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento della stipula del contratto di somministrazione). La medesima norma fa salva la possibilità per la contrattazione collettiva di fissare limiti quantitativi diversi e precisa altresì che possono essere somministrati a tempo indeterminato esclusivamente i lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato.

È infine esclusa la possibilità di ricorrere allo staff leasing da parte delle pubbliche amministrazioni.

Per quanto riguarda la somministrazione a tempo determinato, il d.lgs. 276/2003, nella sua prima formulazione, stabiliva che vi si potesse fare ricorso solo a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore.

Per effetto della legge 92/2012, la regola della necessaria sussistenza della ragione giustificatrice aveva subito una prima, importante deroga: la giustificazione del termine non veniva più richiesta nell’ipotesi di primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore a dodici mesi, concluso fra l’utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualsiasi mansione, nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato.

L’obbligo di indicare le ragioni giustificatrici del ricorso alla somministrazione a tempo determinato era infine venuto meno a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 34/2014, convertito con modificazioni in L. 78/2014, che aveva definitivamente liberalizzato l’apposizione di termini ai rapporti di lavoro subordinato di durata non superiore a 36 mesi.

Nell’ambito della razionalizzazione della disciplina dei rapporti di lavoro flessibili operata dal d.lgs. n. 81/2015, il legislatore aveva sostanzialmente recepito i tratti fondamentali della normativa previgente, confermando che la stipulazione di un contratto di somministrazione a tempo determinato non era più subordinata alla sussistenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. L’art. 31, infatti, si limitava a prevedere che l’utilizzatore avrebbe potuto fare ricorso a tale tipologia contrattuale solo a condizione che fossero rispettati i limiti quantitativi fissati dai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore (si badi che la previgente disciplina faceva invece riferimento ai limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi).

Infatti, l’art. 2 d. l n. 87/2018, conv. in l. 9 agosto 2018, n. 96, prevede che al rapporto tra agenzia e lavoratore si estenda anche il regime delle causali previsto nella disciplina del contratto a termine, avendo riguardo alle esigenze dell’utilizzatore. Da ciò, alcuni commentatori avevano ricavato la necessaria apposizione delle causali anche al contratto di somministrazione vero e proprio; tuttavia, come si spiegherà meglio nel prossimo paragrafo, tale interpretazione deve essere respinta, dovendosi invece ritenere che il contratto commerciale tra agenzia e utilizzatore resti un contratto acausale.

Il legislatore ha inoltre previsto una clausola di contingentamento per l’utilizzazione dei lavoratori assunti con contratto di somministrazione a termine, fatte salve le diverse previsioni della contrattazione collettiva. Particolarmente rilevante è il fatto che il nuovo limite massimo comprenda sia i lavoratori assunti con contratto di somministrazione a termine sia i lavoratori assunti direttamente dall’utilizzatore con contratto a tempo determinato. Infatti, salvo diverse regolamentazioni approntate dai contratti collettivi, la riforma ha previsto che il numero dei lavoratori somministrati a termine e dei lavoratori a tempo determinato non può superare complessivamente il 30 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato operanti presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei contratti, con arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento della stipulazione del contratto di somministrazione di lavoro. In ogni caso, questa limitazione non si applica alla somministrazione a tempo determinato di lavoratori disoccupati che godono da almeno 6 mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, e di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati.

Dunque, nei fatti, l’utilizzatore sarà soggetto a due limiti: da un lato, dovrà rispettare il limite massimo previsto dalla legge per l’assunzione di lavoratori a termine (ossia il 20% dei lavoratori a tempo indeterminato), dall’altro, dovrà rispettare l’ulteriore limite complessivo del 30% calcolato considerando sia i lavoratori a termine che i somministrati. Naturalmente, nel caso in cui l’utilizzatore non impieghi alcun lavoratore assunto direttamente a termine, il limite del 30% dovrà essere riferito esclusivamente ai lavoratori somministrati.

La disciplina del rapporto di lavoro

A seconda che si tratti di somministrazione a tempo indeterminato ovvero a tempo determinato, il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore è soggetto alla disciplina generale dei contratti di lavoro ovvero alla disciplina del contratto a termine, ora contenuta negli articoli da 19 a 29 del d.lgs. 81/2015.

Nel caso di assunzione a tempo indeterminato, la legge stabilisce inoltre che il contratto deve determinare l’indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali egli rimane in attesa di essere inviato in missione, nella misura prevista dal contratto collettivo applicabile al somministratore e comunque non inferiore all’importo fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. L’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo.

Per quanto concerne i rapporti a tempo determinato, invece, in seguito alle modificazioni previste dal cd. decreto dignità, l’art. 34 co. 2 del d.lgs. 81/2015, nel fare rinvio alla disciplina generale dei contratti a termine, ha escluso solo l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma 2, 23 e 24 (concernenti l’intervallo minimo tra un contratto e l’altro, il numero complessivo di contratti a tempo determinato e il diritto di precedenza).

Come anticipato, l’art. 2 stabilisce che ai rapporti tra somministrato e agenzia si applichi anche l’art. 19, contenete appunto la disciplina riguardante le causali. Al riguardo, il legislatore si è premurato di sottolineare come tali causali, in caso di ricorso al contratto di somministrazione di lavoro, devono essere applicate esclusivamente all’utilizzatore.

Questa disposizione, lungi dal fare chiarezza, suscita invece molte difficoltà interpretative, poiché non è chiaro se l’obbligo di giustificazione debba essere riferito al contratto di somministrazione -ossia al contratto commerciale tra agenzia e utilizzatore-, oppure al contratto di lavoro subordinato tra agenzia e lavoratore.

L’interpretazione più coerente avvalora la seconda ipotesi, prevedendo che la causale si applichi sempre e solo al contratto a termine del somministrato, ma debba far riferimento alle ragioni organizzative della somministrazione, relative dunque alla sfera dell’utilizzatore.

Data tale premessa, ad oggi, il contratto tra somministratore e lavoratore può avere una durata massima di 24 mesi; entro tale limite occorre distinguere due ipotesi: se al contratto viene apposto un termine di durata non superiore a 12 mesi, non è necessaria l’indicazione di alcuna causale che giustifichi la previsione di tale termine; in caso contrario, devono obbligatoriamente essere indicati anche i motivi giustificativi.

In particolare, questi motivi possono ricollegarsi a:

  • esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  • esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

Se viene concluso un contratto di durata superiore a un anno in assenza di queste condizioni, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dal superamento del termine di dodici mesi.

Nel calcolo della durata massima di 24 mesi, devono considerarsi anche i contratti intercorsi tra le stesse parti, comprensivi di proroghe e rinnovi, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, indipendentemente dai periodi di interruzione. Pertanto, il contratto si considera a tempo indeterminato anche nel caso in cui il termine di 24 mesi venga superato a causa di una successione di contratti.

In ogni caso, un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi, può essere stipulato presso l’Ispettorato territoriale del lavoro competente per territorio. In caso di mancato rispetto di questa procedura, nonché di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione. Sono comunque salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi e dai contratti aziendali stipulati dalle Rsa / Rsu.

La nuova regolamentazione prevede che al contratto tra agenzia e lavoratore si applichi la disciplina del contratto a tempo determinato anche in materia di proroghe e rinnovi.

Per quanto riguarda le proroghe, in linea di massima, il contratto di somministrazione a tempo determinato può essere prorogato solo con il consenso del lavoratore, per un massimo di quattro volte, entro il limite di 24 mesi. Inoltre, la proroga può essere pattuita liberamente solo durante i primi 12 mesi, mentre successivamente devono essere obbligatoriamente indicate le causali giustificative di cui si è detto.

Se viene prorogato più di quattro volte, il contratto si considera a tempo indeterminato a partire dalla quinta; analoga sanzione si applica nel caso in cui, decorsi dodici mesi, il contratto venga prorogato senza indicare la causale giustificativa (in questa ipotesi è irrilevante il numero della proroga).

Nell’ambito della riforma, il legislatore non ha però modificato la previsione previgente secondo cui il contratto può essere prorogato nelle ipotesi e per la durata previste dal contratto collettivo applicato dal somministratore, purché la proroga risulti da atto scritto. Una prima lettura della disposizione sembrerebbe riconoscere ai contratti collettivi la facoltà di derogare la regolamentazione normativa -magari approntando una disciplina meno garantista per i lavoratori-, tuttavia pare opportuno precisare come, nei dossier connessi alla riforma, sia stato chiarito che l’eventuale proroga autorizzata dalle disposizioni della contrattazione collettiva debba comunque essere attuata nei limiti della nuova disciplina legale.

Pertanto, la nuova disciplina delle proroghe dovrà essere considerata come una normativa imperativa e, quindi, inderogabile in senso sfavorevole ai lavoratori da parte della contrattazione collettiva.

Per quanto attiene invece alla regolamentazione dei rinnovi, il legislatore, coerentemente con l’impianto della nuova disciplina, richiede che, dopo i primi dodici mesi, vengano stipulati solo in presenza delle medesime causali giustificative di cui si è detto. In questo caso, l’assenza dell’indicazione è sanzionata con la trasformazione del contratto in un contratto a tempo indeterminato.

Forma e contenuto del contratto di somministrazione

  • Il contratto di somministrazione deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere i seguenti elementi (art. 34, d.lgs. 81/2015):
  • estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore;
  • il numero dei lavoratori da somministrare;
  • l’indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate;
  • la data di inizio e la durata prevista della somministrazione di lavoro;
  • le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e l’inquadramento dei medesimi;
  • il luogo, l’orario di lavoro e il trattamento economico e normativo dei lavoratori.

Rispetto alla disciplina previgente (di cui all’art. 21 del d.lgs. 276/2003), la nuova normativa non contempla più, tra gli elementi necessari del contratto, le previsioni inerenti la responsabilità solidale di somministratore e utilizzatore per il trattamento retributivo e previdenziale dei lavoratori.

Sul punto, il secondo comma dell’art. 33 del d.lgs. 81/2015 si limita ora a stabilire che “con il contratto di somministrazione di lavoro l’utilizzatore assume l’obbligo di comunicare al somministratore il trattamento economico e normativo applicabile ai lavoratori suoi dipendenti che svolgono le medesime mansioni dei lavoratori da somministrare e a rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore dei lavoratori”.

Il somministratore è inoltre tenuto a comunicare per iscritto al lavoratore, all’atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio in missione presso l’utilizzatore, tutte le informazioni sopra menzionate, nonché la data di inizio e la durata prevedibile della missione (art. 33, co. 3, d.lgs. 81/2015).

Trattamento economico e normativo e tutele del lavoratore

Il lavoratore somministrato ha diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte.

Inoltre, è prevista la responsabilità solidale dell’utilizzatore con il somministratore per la corresponsione dei trattamenti retributivi e previdenziali (art. 35, d.lgs. 81/2015).

È affidato alla contrattazione collettiva il compito di stabilire le modalità e i criteri per la determinazione e corresponsione delle erogazioni economiche correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati tra le parti o collegati all’andamento economico dell’impresa.

Il lavoratore ha diritto altresì a fruire di tutti i servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti dell’utilizzatore addetti alla medesima unità produttiva, ma non viene computato nell’organico dell’utilizzatore (fatta eccezione per l’applicazione delle norme in materia d’igiene e sicurezza sul lavoro).

Il quinto comma dell’art. 35 stabilisce inoltre che, nel caso in cui adibisca il lavoratore a mansioni di livello superiore o inferiore a quelle indicate nel contratto, l’utilizzatore è tenuto a darne immediata comunicazione scritta al somministratore, consegnando copia della comunicazione al lavoratore medesimo. Ove non adempia all’obbligo di informazione, l’utilizzatore risponde in via esclusiva per le differenze retributive spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori e per l’eventuale risarcimento del danno derivante dall’assegnazione a mansioni inferiori.

L’ultimo comma della medesima norma stabilisce, infine, la nullità di ogni clausola diretta a limitare, anche indirettamente, la facoltà dell’utilizzatore di assumere il lavoratore al termine della sua missione, fatta salva l’ipotesi in cui al lavoratore sia corrisposta una adeguata indennità, secondo quanto stabilito dal contratto collettivo applicabile al somministratore.

Casi nei quali casi è vietato il contratto di somministrazione

Il contratto di somministrazione è vietato nei seguenti casi (art. 32, d.lgs. 81/2015):

  • per la sostituzione di lavoratori in sciopero;
  • da parte di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori;
  • presso unità produttive in cui si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della Legge 23 luglio 1991 n. 223, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni a cui si riferisce il contratto di somministrazione, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi (la riforma del 2015 ha eliminato la possibilità di derogare a tale divieto tramite accordi sindacali);
  • presso unità produttive nelle quali sono in corso sospensioni di rapporti o riduzione dell’orario di lavoro con diritto al trattamento di integrazione salariale (Cassa integrazione guadagni) che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione (anche con riferimento a tale divieto, la riforma del 2015 ha eliminato la regola della derogabilità tramite accordi sindacali).

Diritti sindacali dei lavoratori somministrati

Ai sensi dell’art. 36 d.lgs. 81/2015, ai dipendenti delle società di somministrazione si applicano tutti i diritti sindacali previsti dalla Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori).

Pertanto, nei confronti del somministratore i lavoratori in questione possono esercitare per esempio il diritto di costituire rappresentanze sindacali aziendali o unitarie, di riunirsi in assemblea, di fruire – in qualità di dirigenti di rappresentanza sindacale aziendale o unitaria – di permessi sindacali retribuiti e non.

Per espressa previsione dell’art. 35 Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori), la concreta fruizione di questi diritti presuppone che il somministratore, presso gli uffici cui compete l’organizzazione dei lavoratori somministrati, occupi più di 15 dipendenti.

Il lavoratore somministrato vanta alcuni diritti sindacali anche nei confronti dell’utilizzatore. Infatti, nei confronti di quest’ultimo egli può esercitare – per tutta la durata del contratto – i diritti di libertà e di attività sindacale, nonché di partecipare alle assemblee del personale dipendente dell’impresa utilizzatrice.

L’art. 36 prevede inoltre un obbligo di informativa sindacale in capo all’utilizzatore, il quale è tenuto, ogni dodici mesi, a comunicare alla RSA ovvero alla RSU o, in mancanza, agli organismi territoriali di categoria delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, il numero dei contratti di somministrazione di lavoro conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifica dei lavoratori interessati.

Rispetto alla disciplina previgente, la nuova normativa non contempla più, invece, l’obbligo di indicare ai sindacati il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione prima della stipula del contratto.

Tutele contro la somministrazione irregolare e fraudolenta

L’art. 38, co. 2, del d. lgs.n. 81/2015 individua una serie di irregolarità in presenza delle quali il lavoratore ha la possibilità di richiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dalla data di inizio della somministrazione (cd. somministrazione irregolare). Nello specifico, tale facoltà si verifica in caso di:

  • violazione dei limiti numerici al ricorso al lavoro somministrato, di cui all’articolo 31 d.lgs. 81/2015;
  • assunzione di lavoratori somministrati in violazione dei divieti indicati dall’art. 32 d.lgs. 81/2015;
  • assenza, nel contratto di lavoro, dell’indicazione di uno di questi elementi: (i) estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore, (ii) numero dei lavoratori da somministrare, (iii) eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e misure di prevenzione adottate, (iv) data di inizio e durata prevista della somministrazione.

In queste ipotesi, tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione.

L’art. 39 d.lgs. 81/2015, nel fissare i limiti per l’esercizio dell’azione con la quale il lavoratore richiede la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore, richiama le disposizioni dell’art. 6 della l. n. 604 del 1966, le quali prevedono che:

  • il lavoratore ha 60 giorni per impugnare la somministrazione irregolare (l’art. 39 d.lgs. 81/2015 precisa che detto termine decorre dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore);
  • impugnata per tempo la somministrazione, il lavoratore ha 180 giorni per depositare il ricorso in tribunale oppure comunicare al datore di lavoro la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato;
  • in questo secondo caso, se la richiesta di conciliazione o arbitrato viene rifiutata oppure non si raggiunge l’accordo, il lavoratore ha 60 giorni per depositare il ricorso in tribunale.

Nel caso in cui il giudice accolga la domanda del lavoratore, il datore di lavoro è condannato (oltre che alla ricostituzione del rapporto) a corrispondere al lavoratore un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Per espressa indicazione del legislatore, tale indennità copre interamente il pregiudizio subito dal lavoratore, ivi comprese le conseguenze retributive e contributive, relativo al periodo compreso tra la data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la costituzione del rapporto di lavoro.

Il decreto legislativo n. 81/2015 aveva modificato la previgente disciplina, abrogando la fattispecie di somministrazione fraudolenta. Tuttavia il d.l. n. 87/2018, conv. in l. 9 agosto 2018, n. 96, ha introdotto l’art. 38 bis al fine di sanzionare nuovamente tale ipotesi. La nuova disposizione, infatti, prevede che quando il contratto di somministrazione viene stipulato con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, il somministratore e l’utilizzatore sono puniti con la pena dell’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione.

L’art. 40 d.lgs. 81/2015, invece, dispone che deve essere punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250 la violazione degli obblighi e dei divieti previsti:

  • agli articoli 33, comma 1 (norma che identifica forma e contenuto minimo del contratto di somministrazione);
  • per il solo utilizzatore, agli articoli 31 (limiti quantitativi al ricorso alla somministrazione) e 32 (ipotesi in cui la somministrazione è vietata);
  • per il solo somministratore, all’articolo 33, comma 3 (in tema di informazione al lavoratore);
    dall’articolo 35, comma 1 (parità di trattamento);
  • per il solo utilizzatore, all’articolo 35, comma 3, secondo periodo (fruizione dei servizi sociali e assistenziali da parte del lavoratore somministrato), e 36, comma 3 (oneri di comunicazioni ai sindacati).

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di somministrazione

In genere

  1. Illegittime, perché elusive del carattere temporaneo del lavoro somministrato, anche se avvenute nella vigenza del d.lgs. 81/15, le ripetute missioni del lavoratore presso la medesima impresa utilizzatrice.
    Dopo aver lavorato, tra il 2012 e il 2016, per 33 mesi presso la medesima azienda, in forza di non meno di dieci successivi contratti di somministrazione a tempo determinato, interrompendo l’attività solo in concomitanza delle festività, un lavoratore aveva agito in giudizio per ottenere il diritto alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la società utilizzatrice. Il reclamo era stato rigettato dalla Corte d’appello di Brescia, che, escludendo, in presenza di plurimi contratti, di poter configurare un unico rapporto di lavoro, aveva dichiarato la decadenza del lavoratore, per mancata tempestiva impugnazione, in relazione alle richieste riguardanti i contratti diversi dall’ultimo, regolato dal d.lgs. 81/15 e ritenuto legittimo. La decisione dei giudici bresciani veniva successivamente annullata dalla Cassazione (sentenza n. 29570/2022, v. Newsletter n. 18/22), che, nell’accogliere il ricorso del lavoratore, osservava – ribadendo una lettura proposta pochi mesi prima da Cassazione 22861/2022 (v. Newsletter n. 15/22) – che il carattere temporaneo del lavoro tramite agenzia interinale, sebbene non espressamente richiesto dal d.lgs. 81/15, deve considerarsi un requisito implicito e strutturale di questa tipologia contrattuale, in conformità con i principi fissati dal diritto dell’Unione europea. Alla luce di tale principio, la Cassazione demandava quindi alla Corte d’appello di Milano, in qualità di giudice del rinvio, il compito di verificare se, nel caso concreto, la reiterazione delle missioni del lavoratore presso l’impresa utilizzatrice avesse costituito il mezzo col quale eludere la regola della temporaneità, precisando che tale accertamento avrebbe dovuto tenere conto anche delle vicende contrattuali per le quali era intervenuta la decadenza, in quanto antecedenti storici utili a valutare l’eventuale superamento, tramite elusione, del carattere temporaneo del lavoro somministrato. I giudici milanesi, all’esito del proprio accertamento, riconoscono la natura abusiva del reiterato ricorso alla somministrazione da parte della società utilizzatrice, osservando in particolare che (i) la successione dei contratti e delle relative proroghe dimostra che l’azienda aveva fatto ricorso alla somministrazione non per esigenze di carattere temporaneo, ma per rispondere a un bisogno ordinario di manodopera; (ii) la circostanza – valorizzata dalla società resistente – che, nel caso concreto, non sia stato superato il limite di 44 mesi fissato dal CCNL di riferimento (metalmeccanici) quale soglia massima di impiego dello stesso lavoratore somministrato, risulta irrilevante, dal momento che l’indicazione delle parti sociali costituisce un mero parametro di riferimento per la valutazione dell’abusività del ricorso alla somministrazione, che non vale certo a escludere il potere del giudice di ravvisare l’abuso, secondo i criteri interpretativi fissati dalla giurisprudenza di legittimità, anche laddove il limite contrattuale non venga oltrepassato. Viene conseguentemente dichiarata la costituzione tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dalla data di stipulazione dell’ultimo contratto, con condanna del datore di lavoro a pagare un’indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. (Corte app. Milano 20/3/2023, Pres. Mantovani Rel. Bertoli, in Wikilabour, Newsletter n. 6/23)
  2. Il D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 38-bis ha come obiettivo esclusivamente quello di tutelare il lavoratore, lasciando fuori dal suo ambito di applicazione quei comportamenti finalizzati alla elusione della contribuzione, che restano soggetti alla disciplina dell’art. 640 c.p., comma 2, n. 1. (Cass. pen 11/3/2020 n. 9758, Pres. Diotallevi Est. Coscioni, in Lav. nella giur. 2021, con nota di L. Baron, Il fittizio distacco transnazionale di lavoratori tra somministrazione fraudolenta e truffa ai danni dello Stato, 248)
  3. In materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di illegittima o abusiva successione di contratti di somministrazione di lavoro a termine, il lavoratore ha diritto – in conformità con il canone di effettività della tutela giurisdizionale affermato dalla Corte di Giustizia Ue (ordinanza 12 dicembre 2013, C-50/13) e con i principi enunciati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza n. 5072 del 2016 a proposito della abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato – al risarcimento del danno parametrato alla fattispecie di portata generale di cui all’art. 32, 5° comma, l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo e un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, che non può farsi comunque derivare dalla “perdita del posto”, in assenza di un’assunzione tramite concorso ex art. 97 cost. (Cass. 16/1/2019 n. 992, Pres. Napoletano Rel. Tria, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di N. De Angelis, “La Cassazione alla ricerca di un’adeguata tutela per i precari della P.A.”, 270)
  4. È illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore somministrato a tempo indeterminato quando l’impossibilità di ricollocazione del lavoratore dipendente presso un altro soggetto utilizzatore sia un fatto manifestamente insussistente, non avendo l’agenzia somministratrice fornito prova in giudizio della mancanza di occasioni di lavoro e, al contrario, avendo il dipendente dimostrato l’esistenza di opportunità lavorative compatibili con il suo profilo professionale. (Trib. Roma 5/10/2017, n. 8106, Est. Bellini, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di D. Comande, “Lavoro a tempo indeterminato in somministrazione e giustificato motivo oggettivo di licenziamento: l’estensione del sindacato giudiziale”, 3)
  5. L’art. 17 del ccnl Acqua e Gas, che ha attuato la delega di cui all’art. 20 co. 4 d.lgs. 276/2003, prevede che in determinate circostanze il contratto di somministrazione a tempo determinato sia soggetto ai limiti quantitativi di utilizzo della misura del 10% in media annua dei lavoratori occupati a tempo indeterminato nell’azienda. Nel caso in cui la somministrazione avvenga al di fuori di tali limiti il lavoratore può chiedere mediante ricorso giudiziale notificato anche soltanto all’utilizzatore, la costituzione di un rapporto alle dipendenze di quest’ultimo con effetto dall’inizio della somministrazione. (Corte app. Genova 4/1/2017, n. 1086, Pres. Buscati Est. Bonterio, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di S. Donà, “Illegittimità dei tirocini e del contratto di somministrazione a termine: le conseguenze”, 509)
  6. La violazione del divieto ex art. 20 co. 5 lett. b secondo periodo d.lgs. n. 276/2003 determina la nullità del contratto di somministrazione laddove abbia esecuzione presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con il diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione; la legittimazione ad agire per l’accertamento di tale nullità e della conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra utilizzatore e lavoratori illecitamente somministrati non è riservata a costoro, ma spetta agli enti previdenziali a tutela dei propri diritti. (Trib. Trento 6/12/2016, Est. Flam, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di M. Avogaro, “Somministrazione irregolare: dal Tribunale di Trento un endorsement all’attivismo dell’Inps”, 645)
  7. Non vi è dubbio che utilizzare lavoratori che percepiscono un trattamento retributivo e previdenziale inferiore a quello dovuto costituisce (oltre che un inadempimento contrattuale nell’ipotesi di accertamento su iniziativa dei lavoratori di un rapporto di lavoro diretto con l’utilizzatore) un’operazione economica illecita che vizia la causa della somministrazione di lavoro (con conseguente nullità “strutturale” ex art. 1343 c.c. e 1418 co. 2 c.c. rilevabile d’ufficio da chiunque vi abbia interesse ai sensi dell’art. 1412 c.c., ivi compresi, quindi, gli enti previdenziali). (Trib. Trento 6/12/2016, Est. Flam, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di M. Avogaro, “Somministrazione irregolare: dal Tribunale di Trento un endorsement all’attivismo dell’Inps”, 645)
  8. È illegittimo, con conseguente reintegrazione, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore somministrato a tempo indeterminato quando l’impossibilità di ricollocazione del lavoratore per mancanza di occasioni di lavoro sia risultato un fatto evidentemente insussistente, avendo l’agenzia somministratrice assunto un altro lavoratore con profilo professionale fungibile per somministrarlo presso un soggetto utilizzatore operante nel medesimo settore del ricorrente. (Trib. Roma 2/11/2016, ord., Est. Pagliarini, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di L. Giasanti, “Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e somministrazione di lavoro”, 296)
  9. È illegittimo, con conseguente reintegrazione, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore somministrato a tempo indeterminato quando l’impossibilità di ricollocazione del lavoratore per mancanza di occasioni di lavoro sia risultato un fatto evidentemente insussistente, non avendo l’agenzia somministratrice tenuto conto di un’opportunità lavorativa adeguata al profilo del ricorrente. (Trib. Velletri 29/7/2016, Est. Falcione, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di L. Giasanti, “Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e somministrazione di lavoro”, 296)
  10. Le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che legittimano il ricorso al contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato devono essere indicate nel contratto con un grado di specificità tale da consentire al Giudice di verificare se rientrino tre le ragioni cui il legislatore riconduce la legittimità della somministrazione, nonché di consentire la verifica della loro effettività, ai sensi dell’art. 27, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003. Quando la somministrazione avviene al di fuori dei limiti di cui agli artt. 20 e 21 del D.Lgs. n. 276/2003 il rapporto di lavoro si costituisce a tempo indeterminato con l’utilizzatore. L’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, L. 4 novembre 2010, n. 183 si applica a qualsiasi conversione di contratto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato e quindi anche ai casi di somministrazione nulla e ha carattere omnicomprensivo, escludendo la possibilità di liquidare danni ulteriori. (Corte app. Roma 9/1/2015, Pres. e Rel. Di Paoloantonio, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Maria Antonia Garzia, 368)
  11. L’indennità risarcitoria di cui all’art. 32, comma 5, L. n. 183/2010 (c.d. Collegato lavoro) trova applicazione in tutti i casi di ricostituzione di un rapporto di lavoro inizialmente stipulato a termine, poi dichiarato illegittimo, e, dunque, trova applicazione anche in caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito da un lavoratore a causa della nullità della causale di un contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato. (Cass. 1/8/2014 n. 17540, Pres. Lamorgese Rel. Manna, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Elisabetta Bavasso, 172)
  12. L’indicazione delle ragioni che giustificano il ricorso alla somministrazione a termine deve essere tale da consentire la concreta verifica della sussistenza delle esigenze sottese alla stessa, senza dimenticare che, una volta identificate, tali ragioni dovranno essere provate dall’utilizzatore, sicché, ritenendo superato il requisito della temporaneità della causale, viene sancita la rilevanza di addurre e provare i presupposti giustificativi, oggettivi ed effettivamente esistenti, con la conseguenza che il controllo giudiziale non dovrà riguardare la natura ontologica della ragione giustificativa ma la sua oggettività, la sua effettiva sussistenza al fine di escludere le situazioni in cui la somministrazione poggi su ragioni meramente pretestuose, simulate o evanescenti. Nel caso esaminato, il contratto di somministrazione a termine, prorogato per tre volte, riporta lo stesso motivo del ricorso temporaneo al lavoro somministrato indicato nel contratto di lavoro a tempo determinato perfezionato tra la lavoratrice e l’agenzia, ossia: “utilizzo di qualifiche previste dai normali assetti organizzativi aziendali ma temporaneamente scoperte in organico”. Il giudice riconduce tale motivo alle ragioni di carattere sostitutivo di cui all’art. 20, c. 4, d.lgs. n. 276/2003 e non a quelle di natura organizzativa, evidenziando, inoltre, la genericità della formulazione supportata dalle dichiarazioni dell’utilizzatore, il quale, affermando di avere bisogno della ricorrente per la mancanza temporanea nel proprio organico di ordinarie e non meglio identificate qualifiche, omette di individuare la situazione concreta che, al tempo della stipulazione del contratto di somministrazione, giustificava il ricorso del lavoro somministrato a termine. (Trib. Parma 21/3/2014, Giud. Coscioni, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Francesco Bacchini, 1002)
  13. Il regime della prevenzione degli abusi nel contratto di somministrazione di lavoro è una questione puramente interna, fermo restando l’obbligo di interpretazione conforme dei giudici nazionali. (Trib. Napoli 5/3/2014, Pres. ed Est. Coppola, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2014, con nota di F. Siotto, “Lavoro temporaneo, frode alla legge e prevenzione degli abusi”, 450)
  14. La generica previsione delle ragioni contenute nel contratto commerciale di somministrazione rende illegittimo il collegato contratto di lavoro a termine tra prestatore e agenzia di somministrazione, e per l’effetto si costituisce il rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore interponente. (Trib. Napoli 5/3/2014, Pres. ed Est. Coppola, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2014, con nota di F. Siotto, “Lavoro temporaneo, frode alla legge e prevenzione degli abusi”, 450)
  15. L’impugnazione di cui all’art. 6 legge n. 604 del 1966 (come modificato dall’art. 32 della legge n. 183/2010), in base al quale per ottenere la trasformazione a tempo indeterminato è necessaria l’impugnazione entro sessanta giorni, si applica anche al rapporto di somministrazione a termine. (Corte app. Brescia 27/2/2014, Pres. e Rel. A. Nuovo, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Filippo Collia, 77)
  16. Nella legge n. 196/1997, la mancata previsione di un divieto di reiterazione dei contratti di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo conclusosi con lo stesso lavoratore avviato presso la medesima impresa utilizzatrice non esclude che possa configurarsi un negozio in frode alla legge, allorché la reiterazione costituisca il mezzo per eludere la regola della temporaneità dell’occasione di lavoro che connota tale disciplina. Ne consegue che, per escludere che il contratto di lavoro con il fornitore interposto si consideri instaurato con l’utilizzatore interponente a tempo indeterminato, occorre verificare l’effettiva persistenza delle esigenze di carattere temporaneo, in modo tanto più penetrante quanto più durevole e ripetuto sia il ricorso a tale fattispecie contrattuale. (Cass. 6/2/2014 n. 2763, Pres. Roselli Est. Balestrieri, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2014, con nota di F. Siotto, “Lavoro temporaneo, frode alla legge e prevenzione degli abusi”, 449)
  17. Nel contratto di prestazioni di lavoro temporaneo la generica previsione dei casi in cui è possibile ricorrere a lavoratori tramite agenzia, in base ai contratti collettivi dell’impresa utilizzatrice, spezza l’unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore e fa venire meno la presunzione di legittimità del contratto interinale, per cui il contratto di lavoro con il fornitore interposto si considera a tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore interponente. (Cass. 8/1/2014 n. 161, Pres. Vidiri Est. Curzio, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2014, con nota di F. Siotto, “Lavoro temporaneo, frode alla legge e prevenzione degli abusi”, 449)
  18. Le conseguenze della somministrazione irregolare non ricadono sulla società di somministrazione tant’è che viene espressamente contemplata la possibilità di convenire in giudizio la sola impresa utilizzatrice. La norma è aderente alla realtà dei fatti: le causali indicate nei contratti di somministrazione sono esplicate dalla società utilizzatrice trattandosi di aspetti riguardanti esclusivamente la loro organizzazione su cui la somministratrice non può intervenire, né il legislatore ha chiesto di farlo, per cui è ovvio che tenuto a contraddire in ordine alla loro sussistenza siano solo le prime non avendo l’agenzia di intermediazione al riguardo alcuna responsabilità. (Trib. Messina 27/9/2013, Giud. Santalucia, in Lav. nella giur. 2013, 1049)
  19. Nel momento in cui l’ordinamento giuridico prevede espressamente che, sussistendo la condizione del superamento da parte del lavoratore dei 50 anni di età, le disposizioni di cui al comma 4 dell’art. 20 del D.Lgs. n. 276/2003 non operano, deve ritenersi che la condizione di legittimità operi per il solo fatto di essere oggettivamente sussistente, senza che sia necessario un espresso richiamo da parte dei contraenti, e indipendentemente dall’indicazione che la parte datoriale ritenga di fare in ordine alle ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive sottese al rapporto in questione. (Trib. Milano 12/6/2013, Giud. Colosimo, in Lav. nella giur. 2013, 962)
  20. Nell’ambito delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore, consentono il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, rientrano le punte di intensa attività non fronteggiabili con il ricorso al normale organico; ne consegue che il riferimento a queste ultime può costituire valido requisito formale di tale tipo di contratto. (Cass. 3/4/2013 n. 8120, Pres. Amoroso Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2013, 615)
  21. Rilevato che la determinazione del rito utilizzabile è diretta conseguenza della prospettazione della domanda, ove questa abbia a oggetto l’accertamento dell’illegittimità di un contratto di somministrazione e del termine a esso apposto e l’attuale esistenza del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’utilizzatore, deve escludersi che la controversia abbia a oggetto l’impugnativa di un licenziamento regolato dall’art. 18 Stat. Lav. e che possa, quindi, essere utilizzato lo speciale procedimento di cui all’art. 1, comma 47 ss. l. n. 92 del 2012, con conseguente necessità di disporre il mutamento del rito in quello ordinario previsto per le controversie di lavoro. (Trib. Roma 21/2/2013, ord., Giud. Leone, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Filippo Maria Giorgi, 924)
  22. Si configura una somministrazione di lavoro irregolare, e quindi illecita, sia nel caso in cui difetti un’impresa reale sia pure “leggera” così come nell’ipotesi in cui l’impresa, pur se effettiva, non utilizzi la propria organizzazione nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto e non assuma quindi il rischio d’impresa in relazione all’opera o al servizio di cui al medesimo contratto. (Trib. Milano 8/10/2012, Giud. Lualdi, in Lav. nella giur. 2013, 99)
  23. Nel contratto di somministrazione di lavoro, la clausola appositiva del termine deve ritenersi legittima se enunciata per iscritto, a pena di nullità, la concreta causa specifica della ragione sostitutiva, organizzativa o produttiva che ha determinato il datore di lavoro a ricorrere all’assunzione, con dettagliata descrizione del perché si assume a termine e non a tempo indeterminato, non essendo sufficiente il mero richiamo alla causale astratta o la generica descrizione dell’esigenza produttiva; in mancanza ne consegue la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore sin dalla data di inzio del contratto e con applicazione, ai fini del risarcimento del danno, dell’art. 32 L. 4/11/10 n. 183. (Trib. Firenze 14/2/2012, Est. Taiti, in D&L 2012, con nota di Irene Romoli, “Somministrazione di lavoro a tempo determinato e conseguenze della nullità del contratto per mancata specificazione delle motivazioni determinanti l’apposizione del termine: aspetti risarcitori post Collegato Lavoro”, 452)
  24. Il decorso di un lasso temporale durato circa due anni e move mesi dalla cessazione dell’ultimo rapporto di somministrazione, senza la proposizione di richiesta alcuna in relazione ai contratti di somministrazione, va valutato alla luce delle ulteriori circostanze (svolgimento da parte del lavoratore di attività lavorative di breve durata, ma attiva ricerca di ulteriori occupazioni, esperendo numerosi tentativi di reperire un impiego), consente di affermare l’intervenuta volontà di risoluzione consensuale del rapporto stesso. (Trib. Milano 20/1/2012, Giud. Pattumelli, in Lav. nella giur. 2012, 414)
  25. Nel contratto di somministrazione di lavoro, la clausola appositiva del termine deve ritenersi legittima se enunciata per iscritto, a pena di nullità, la concreta causa specifica della ragione sostitutiva, organizzativa o produttiva che ha determinato il datore di lavoro a ricorrere all’assunzione, con dettagliata descrizione del perché si assume a termine e non a tempo indeterminato, non essendo sufficiente il mero richiamo alla causale astratta o la generica descrizione dell’esigenza produttiva; in mancanza ne consegue la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore sin dalla data di inzio del contratto e con applicazione, ai fini del risarcimento del danno, dell’art. 32 L. 4/11/10 n. 183. (Corte app. Firenze 13/12/2011, Pres. Bazzoffi Est. Nisticò, in D&L 2012, con nota di Irene Romoli, “Somministrazione di lavoro a tempo determinato e conseguenze della nullità del contratto per mancata specificazione delle motivazioni determinanti l’apposizione del termine: aspetti risarcitori post Collegato Lavoro”, 452)
  26. Il quarto comma dell’art. 20 del d.lgs. 276/2003, nel prevedere che la somministrazione a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’impresa, introduce una causale ampia che impone la necessità di una verifica diretta ad accertare, non la temporaneità o la eccezionalità delle esigenze organizzative richieste per la somministrazione a termine, quanto, piuttosto, la effettiva esistenza delle esigenze, la cui prova deve essere fornita in giudizio dal datore di lavoro convenuto, alle quali si ricollega l’assunzione del singolo dipendente. (Cass. 15/7/2011 n. 15610, Pres. Foglia Est. Berrino, in Orint. Giur. Lav. 2012, con nota di Ilaria Alvino, “Condizioni oggettive di liceità della somministrazione di lavoro a tempo determinato e ripartizione dell’onere della prova”, 301)
  27. La somministrazione irregolare di lavoro ha come conseguenza l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore e il lavoratore matura il diritto a percepire le retribuzioni a titolo di risarcimento del danno dalla data in cui abbia provveduto a mettere nuovamente a disposizione di quest’ultimo la propria prestazione lavorativa con un atto giuridico in senso stretto di carattere recettizio o per “facta concludentia”. (Cass. 15/7/2011 n. 15610, Pres. Foglia Est. Berrino, in Orint. Giur. Lav. 2012, con nota di Ilaria Alvino, “Condizioni oggettive di liceità della somministrazione di lavoro a tempo determinato e ripartizione dell’onere della prova”, 301)
  28. Non è sufficiente il solo richiamo, nel contratto di prestazione di lavoro temporaneo tra impresa fornitrice e lavoratore, alle causali generali dei contratti collettivi per ritenere rispettata la legge n. 196/97 nella parte in cui consente la stipulazione di un contratto di fornitura nei casi “previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, in quanto, trattandosi di fattispecie complessa voluta dal legislatore per attenuare la rigidità del precedente impianto divieto di intermediazione di mano d’opera, occorre che l’utilizzatore si faccia carico di dimostrare l’avvenuto rispetto, nello svolgimento del rapporto diretto con il prestatore di lavoro, delle causali previste dai contratti collettivi nazionali della sua categoria di appartenenza, a loro volta trasfuse nel contratto di fornitura intercorso con l’impresa fornitrice ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a, l. n. 196/97. (Cass. 24/6/2011 n. 13961, Pres. Foglia Est. Berrino, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Angela Giunta, “La specificazione delle ragioni giustificatrici del ricorso al lavoro interinale: effetti del collegamento negoziale e rilevanza della causa in concreto”, 66)
  29. L’insussistenza delle ragioni giustificatrici del contratto di somministrazione a tempo determinato ex artt. 20-21 d.lgs. n. 276/2003, come risultanza dell’istruttoria processuale, comporta la costituzione di un rapporto di lavoro ab origine alle dipendenze dell’utilizzatore. A quest’ultimo spetta dimostrare la sussistenza del nesso causale tre le sue esigenze e l’assunzione del lavoratore. (Trib. Roma 3/5/2011, Giud. Forziati, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Rita Poggio, 493)
  30. A norma del combinato disposto degli artt. 21 (rubricato “Forma del contratto di somministrazione”) e 27 del d.lgs. n. 276/2003 (rubricato “Somministrazione irregolare”), la costituzione del rapporto di lavoro direttamente con l’utilizzatore si verifica solo se un vizio di forma riguardi il contratto di somministrazione, e non anche se vi siano vizi formali riguardanti il contratto di assunzione stipulato tra il somministratore e il lavoratore. (Trib. Roma 3/5/2011, Giud. Forziati, in Lav. nella giur. 2011, 964)
  31. In tema di procedure selettive del personale, il principio di buona fede a cui si deve conformare colui che procede alla selezione implica: la fissazione ex ante di criteri oggettivi e non irragionevoli; l’applicazione secondo correttezza dei criteri prestabiliti; in caso di adozione di criteri implicanti discrezionalità valutativa, l’adeguata motivazione con l’indicazione di circostanze verificabili delle operazioni valutative poste in essere. In particolare, il potere discrezionale del datore di lavoro incontra il limite della necessità che lo stesso fornisca, in conformità ai criteri precostituiti al bando e, comunque, alla buona fede e correttezza, adeguata ed effettiva motivazione delle operazioni valutative e comparative connesse alla selezione effettuata. Di conseguenza, deve considerarsi viziata la procedura selettiva mancante della predeterminazione dei criteri e della motivazione circa le operazioni valutative. (Trib. Reggio Calabria 28/2/2011, ord., in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di A. Rota, “’Istruzioni per l’uso’ alle agenzie di lavoro: quando la procedura di selezione dei candidati va ripetuta?”, 388)
  32. Sulla scorta di quanto previsto dall’art. 20, comma 4, d.lgs. n. 276/2003, secondo il quale “la somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”, l’obbligo di specificazione delle causali del contratto di somministrazione deve essere valutato in maniera diversa e meno rigorosa rispetto rispetto a quello previsto dal legislatore per l’ipotesi del contratto a termine. In caso di contenzioso, il Giudice non dovrà controllare se la causale del contratto di somministrazione è indicata in maniera generica o specifica, ma solo verificare, ai sensi di quanto previsto dall’art. 21, d.lgs. n. 276/2003, che siano stati rispettati i requisiti di forma del contratto nonché i limiti previsti dal contratto collettivo e la valutazione da parte del Giudice non potrà essere estesa fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano solo all’utilizzatore. (Trib. Vicenza 17/2/2011, Giud. Laurenzi, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Edgardo Ratti, 287)
  33. Le irregolarità formali di cui si occupa il d.lgs. n. 276/2003 sono unicamente quelle attinenti al contratto di somministrazione, vale a dire al contratto commerciale sottostante tra l’impresa somministratrice e l’impresa utilizzatrice. Ne consegue che le irregolarità formali del contratto di lavoro stipulato tra il lavoratore e l’agenzia fornitrice non producono l’imputazione del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore. (Trib. Napoli 3/2/2011, Giud. Amendola, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di V. Luciani, “Somministrazione di lavoro a tempo determinato: vizi di forma, limiti al sindacato giudiziale e conseguenze sanzionatorie”, 348)
  34. Il giudice, chiamato ad accertare in concreto la sussistenza delle ragioni dedotte nel contratto di somministrazione, non può spingersi nel merito delle valutazioni e delle scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano unicamente all’utilizzatore. (Trib. Napoli 3/2/2011, Giud. Amendola, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di V. Luciani, “Somministrazione di lavoro a tempo determinato: vizi di forma, limiti al sindacato giudiziale e conseguenze sanzionatorie”, 348)
  35. Nell’ipotesi in cui sia accertata la irregolarità della somministrazione, il lavoratore avrà diritto alla costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore nonché al risarcimento del danno quantificabile nelle retribuzioni che avrebbe percepito dal momento della messa in mora, non trovando applicazione la c.d. indennità forfettaria introdotta dall’art. 32, co. 5, l.n. 183/2010 in caso di “conversione del contratto a tempo determinato”. (Trib. Napoli 3/2/2011, Giud. Amendola, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di V. Luciani, “Somministrazione di lavoro a tempo determinato: vizi di forma, limiti al sindacato giudiziale e conseguenze sanzionatorie”, 348)
  36. È nullo il termine apposto al contratto di somministrazione stipulato per motivi diversi da quelli dichiarati nel contratto di somministrazione. Per l’effetto il rapporto deve essere costituito direttamente in capo all’utilizzatore con effetto ex tunc. (Trib. Milano 2/12/2010, Est. Visonà, in D&L 2010, 1041)
  37. In caso di contratto di lavoro somministrato a termine illegittimo, quanto alle conseguenze economiche, non è possibile applicare l’art. 32, 5° comma, L. 4/11/10 n. 183, poiché l’art. 27 D.Lgs. 10/9/03 n. 276 prevede la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, mentre l’art. 32, 5° comma, L. 4/11/10 n. 183 si applica alla conversione del contratto a termine. Per l’effetto al lavoratore spettano le retribuzioni maturate dal giorno della costituzione del nuovo rapporto fino al ripristino del rapporto. (Trib. Milano 2/12/2010, Est. Visonà, in D&L 2010, 1041)
  38. La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è legittima ove abbia ad oggetto una delle attività espressamente previste dall’art. 20 del d.lgs. n. 276/2003, anche se tale attività coincida con l’attività principale svolta dall’impresa utilizzatrice. (Trib. Roma 19/11/2010 n. 18385, Giud. Baroncini, in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Roberto Romei, “Somministrazione a tempo indeterminato e dintorni: le tendenze creative della giurisprudenza”, 51)
  39. La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è legittima ove abbia ad oggetto una delle attività espressamente previste dall’art. 20 del d.lgs. n. 276/2003, ma è necessario che tali attività abbiano carattere accessorio e non coincidente con l’attività principale svolta dall’impresa utilizzatrice (Trib. Torino 20/7/2010, Giud. Cirvilleri, in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Roberto Romei, “Somministrazione a tempo indeterminato e dintorni: le tendenze creative della giurisprudenza”, 51)
  40. La ragione addotta (“ragioni di carattere produttivo e organizzativo derivante dall’aumento delle attività nell’ambito degli uffici postali interessati al progetto gestione del cliente” e “garantire la fase di rilancio ed estensione del progetto attraverso il potenziamento delle strutture organizzative interessate”, N.d.R.) a giustificazione del ricorso alla somministrazione di manodopera, riferibile all’ordinaria attività d’impresa, sembra difettare del requisito della “temporaneità”, che, ad avviso del giudice, è intrinsecamente presupposta per il ricorso alla somministrazione di manodopera a tempo determinato. (Trib. Milano 6/7/2010, Giud. Visonà, in Lav. nella giur. 2010, 954)
  41. La mancanza di specificità della causale del contratto di somministrazione a tempo determinato ex artt. 20-21, d.lgs. n. 276/2003, comunque non confortata dall’istruttoria orale ammessa, vizia, definitivamente, lo stesso, assoggettando l’utilizzatore al riconoscimento, in suo danno, del rapporto di lavoro subordinato in contestazione. (Trib. Bergamo 15/6/2010, Giud. Ed Est. Cassia, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Pasquale Regina, 402)
  42. Sussiste violazione dell’art. 21, 1° comma, lett. e), D.Lgs. 10/9/03 n. 276, qualora il lavoratore somministrato permanga presso l’utilizzatore, in ragione di successive proroghe del contratto di lavoro a tempo determinato, oltre il tempo inizialmente pattuito per il contratto di somministrazione tra società fornitrice di lavoro temporaneo e azienda-cliente, in assenza di una parallela proroga di quest’ultimo; ne consegue l’applicazione dell’art. 27 D.Lgs. 10/9/03 n. 276, con possibilità, per il lavoratore, di richiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore con effetto dall’inizio della somministrazione. (Trib. Firenze 1/6/2010, Est. Bazzoffi, in D&L 2010, con nota di Lisa Amoriello, “Aspetti fenomenologici della somministrazione irregolare”, 749)
  43. A fronte di somministrazione illegittima ex art. 27 D.Lgs. 1/8/03 n. 276 non sussiste il diritto del lavoratore alla costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze della PA apparendo ostativo sul punto il chiaro tenore letterale del disposto dell’art. 36, c. 2, D.Lgs. 31/3/01 n. 165 e dell’art. 86, 9° comma, D.Lgs. 1/8/03 n. 276, sistema normativo non destinato a soccombere all’esito del vaglio di compatibilità con la disciplina comunitaria. (Trib. Milano 31/5/2010, Est. Lualdi, in D&L 2010, con nota di Elena Tanzarella, “La somministrazione illegittima nella PA e il conseguente risarcimento del danno”, 1085)
  44. È illegittimo il contratto di somministrazione la cui causa sia generica (nella specie “ragioni di carattere organizzativo”). (Trib. Milano 31/5/2010, Est. Lualdi, in D&L 2010, con nota di Elena Tanzarella, “La somministrazione illegittima nella PA e il conseguente risarcimento del danno”, 1085)
  45. A fronte di somministrazione illegittima ex art. 27 D.Lgs. 1/8/03 n. 276 non sussiste il diritto del lavoratore alla costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze della PA apparendo ostativo sul punto il chiaro tenore letterale del disposto dell’art. 36, c. 2, D.Lgs. 31/3/01 n. 165 e dell’art. 86, 9° comma, D.Lgs. 1/8/03 n. 276, sistema normativo non destinato a soccombere all’esito del vaglio di compatibilità con la disciplina comunitaria. (Trib. Milano 31/5/2010, Est. Lualdi, in D&L 2010, con nota di Elena Tanzarella, “La somministrazione illegittima nella PA e il conseguente risarcimento del danno”, 1085)
  46. La somministrazione di lavoro a termine costituisce l’eccezione rispetto alla regolare assunzione; pertanto se l’assunzione a termine avviene sulla scorta di ragioni organizzative, la causa del relativo contratto non può limitarsi a ripetere la formula o a enunciare generiche ragioni organizzative, rimanendo all’interno di un’indicazione meramente tipologica o di genere, ma deve indicare le specifiche ragioni organizzative che spiegano l’apposizione del termine. (Trib. Milano 25/5/2010, Est. Mariani, in D&L 2010, con nota di Elena Tanzarella, “La somministrazione illegittima nella PA e il conseguente risarcimento del danno”, 1084)
  47. La mera diversità di criterio di calcolo della retribuzione utilizzato dall’agenzia di somministrazione (retribuzione a ora) rispetto a quello previsto dal contratto collettivo applicabile ai dipendenti dell’impresa utilizzatrice (mensilizzazione indipendente dall’effettivo numero di ore lavorate) non costituisce un trattamento deteriore per il lavoratore. (Trib. Pesaro 7/7/2009, est. Peganmelli, in D&L 2009, con nota di Lia Meroni, “Discriminazione retributiva del lavoratore somministrato”, 1026)
  48. Nell’ipotesi in cui la società utilizzatrice non fornisca adeguata prova della sussistenza delle ragioni giustificatrici del ricorso a un contratto di somministrazione a tempo determinato, nonché della riconducibilità dell’utilizzo del lavoratore somministrato a tali ragioni, ricorre la fattispecie della somministrazione irregolare di cui all’art. 27 del D.Lgs. n. 276/2003, con conseguente diritto del lavoratore alla conversione del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la società utilizzatrice, con effetto dall’inizio della somministrazione. (Trib. Milano 29/1/2009, Est. Bianchini, in Orient. Giur. Lav. 103)
  49. Il contratto per prestazioni di lavoro a tempo determinato si trasforma in contratto a tempo indetrminato alle dipendenze dell’impresa appaltatrice non solo nei casi, contemplati dall’art. 10, 2° e 3° comm, L. 24/6/97 n. 196, in mancanza della forma scritta o di protrazione del rapporto oltre il termine di dieci giorni dalla naturale scadenza, ma anche nelle ipotesi contemplate dal 1° comma della medesima norma, e, quindi, nel caso in cui il fornitoresia un soggetto diverso da quelli contemplati dall’art. 2 L. 24/6/97 n. 197, ovvero nel caso di violazione dell’art. 1, 2°, 3°, 4° e 5° comma della medesima legge, ovvero ancora nel caso in cui il fornitore non sia iscritto all’albo di cui all’art. 2, comma 1° della stessa legge. (Corte app. Genova 20/2/2008, Pres. ed est. Haupt, in D&L 2008, con nota di Giuseppe Cordedda, “Novazione soggettiva e novazione oggettiva del rapporto di lavoro temporaneo nei casi previsti dall’art. 10 L. 24/6/97 n. 196”, 525)
  50. Dalla lettura combinata degli artt. 20, comma IV, 22, comma I e 27 del D.Lgs. n. 276/2003 si evince che la somministrazione di lavoro a tempo determinato deve essere effettuata nel rispetto delle regole sancite dal D.Lgs. n. 368/2001; e che, in caso di somministrazione effettuata al di fuori di quelle condizioni, si deve ritenere sussistente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore. La declaratoria di inefficacia del termine fa uscire la somministrazione del lavoratore in favore dell’utilizzatore al di fuori dello schema di liceità voluto dal legislatore. E la conseguenza non può che essere l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore. (Trib. Milano 10/12/2007, Dott. Atanasio, in Lav. nella giur. 2008, 530)
  51. L’art. 1 n. 1 della direttiva del Consiglio 2001/23/Ce del 12/3/01 (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti) è funzionale alla tutela dei lavoratori coinvolti e deve essere interpretato nel senso che quest’ultima si applica anche a imprese che hanno per oggetto la fornitura di lavoro interinale, quando una parte del personale amministrativo e una parte dei lavoratori interinali vengono trasferite a un’altra agenzia di lavoro interinale per esercitarvi le stesse attività al servizio di clienti identici e gli elementi interessati dal trasferimento sono già di per sé sufficienti a consentire lo svolgimento di prestazioni caratteristiche dell’attività economica in oggetto, senza ricorrere ad altri mezzi di produzione significativi né ad altre parti dell’impresa. Infatti un gruppo organizzato di dipendenti specificatamente e stabilmente assegnati a un compito comune può, in mancanza di altri fattori produttivi, corrispondere a un’entità economica, che non deve comportare necessariamente elementi patromoniali, materiali o immateriali, significativi, poiché, in taluni settori economici tali elementi sono spesso ridotti alla loro più semplice espressione e l’attività si fonda essenzialmente sulla manodopera. (Corte di Giustizia CE 13/9/2007, causa C-458/05, Pres. Lenaerts Rel. J. Malenovsky, in D&L 2007, con nota di Giovanni Paganozzi, “Interesse dei lavoratori e ramo di azienda ceduto in assenza di beni materiali”, 1007)
  52. Nel caso di mancata prova, da parte dell’utilizzatore, delle ragioni giustificatrici del contratto di somministrazione di cui al D.Lgs. 10/9/03 n. 276, deve essere affermata la sussistenza di un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dello stesso utilizzatore, che deve essere condannato a ricostituire il rapporto e a risarcire il danno dalla data della messa in mora. (Trib. Milano 10/8/2007, Est. Ravazzoni, in D&L 2007, 1089)
  53. Nel caso di mancata prova, da parte dell’utilizzatore, delle ragioni giustificatrici del contratto di somministrazione di cui al D.Lgs. 10/9/03 n. 276, deve essere affermata la sussistenza di un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze dello stesso utilizzatore. (Trib. Milano 10/8/2007, Est. Porcelli, in D&L 2007, 1089)
  54. La validità del contratto di somministrazione a tempo determinato è subordinata alla specifica indicazione scritta, da parte del somministratore e dell’utilizzatore, delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che nel caso concreto e specifico hanno determinato l’esigenza dell’assunzione di cui si tratta. (Trib. Milano 4/7/2007, Est. Di Leo, in D&L 2007, 1089)
  55. Il contratto di lavoro somministrato a tempo determinato deve essere stipulato per iscritto e deve specificatamente indicare le ragioni (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo) che legittimano l’apposizione del termine; in difetto di uno di tali requisiti, il rapporto deve essere convertito a tempo indeterminato in capo all’utilizzatore che, trattandosi di ipotesi di scadenza di un contratto a termine illegittimamente stipulato, deve essere condannato, in base ai principi comuni, a ripristinare il rapporto e a risarcire il danno (nella fattispecie, è stata ritenuta generica la motivazione, contenuta nel contratto somministrato, che si riferiva a “esigenze di lavoro aggiuntivo” in un determinato periodo). (Trib. Milano 4/7/2007, Est. Di Leo, in D&L 2007, 1089)
  56. Il superamento dei limiti percentuali stabiliti dal Ccnl di settore per il ricorso ai contratti di lavoro interinale comporta l’illegittimità del contratto di lavoro temporaneo a tempo determinato, e la conseguente instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’impresa utilizzatrice, essendo a tal fine irrilevante che un accordo aziendale – che non ha facoltà di derogare sul punto alla contrattazione nazionale – abbia previsto dei limiti percentuali superiori. (Trib. Milano 18/4/2007, Est. Peragallo, in D&L 2007, 838)
  57. In ipotesi di assunzione con contratto di lavoro interinale per causali previste dal Ccnl non rientra nella fattispecie di “aumento di attività” bensì rientra nei normali rischi imprenditoriali da gestirsi in via ordinaria, il ricorso a un’attività diversa e nuova per fare fronte a una perdita di appalto; è pertanto nullo il termine apposto al contratto di lavoro temporaneo giustificato con tale causale, con conseguente instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra il lavoratore e l’impresa utilizzatrice. (Trib. Milano 18/4/2007, Est. Peragallo, in D&L 2007, 838)
  58. Nel caso di un contratto di somministrazione a tempo determinato, le ragioni giustificative di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, di cui all’art. 20, 4° comma, D.Lgs. 10/9/03 n. 276, devono essere specificatamente indicate anche nel contratto di prestazione ex art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368 e devono essere debitamente provate a cura dell’utilizzatore, a pena del riconoscimento dell’esistenza ab origine di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore e l’utilizzatore, e della conseguente possibilità di richiedere la reintegra ex art. 18 SL in caso di illegittima risoluzione del rapporto (Trib. Milano 10/4/2007, Est. Atanasio, in D&L 2007, con nota di Angelo Beretta, “Il lavoro somministrato: la giurisprudenza del Tribunale di Milano”, 414)
  59. Ai sensi dell’art. 21, 4° comma, D.Lgs. 10/9/03 n. 276, è nullo il contratto di somministrazione privo dell’indicazione scritta relativa alle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che giustificano al ricorso al contratto di somministrazione a tempo determinato (nella specie il contratto non era stato prodotto in giudizio); conseguentemente, il lavoratore deve essere considerato a tutti effetti alle dipendenze dell’utilizzatore e, in caso di licenziamento, si applicano le conseguenze ex art. 18 SL. (Trib. Milano 13/3/2007, Est. Bianchini, in D&L 2007, 413)
  60. Ai sensi dell’art. 21, 4° comma, D.Lgs. 10/9/03 n. 276, è nullo il contratto di somministrazione privo dell’indicazione scritta relativa alle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che giustificano il ricorso al contratto di somministrazione a tempo determinato (nella specie il contratto non era stato prodotto in giudizio); conseguentemente, il lavoratore deve essere considerato a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore e, in caso di licenziamento, si applicano le conseguenze ex art. 18 SL, a nulla rilevando che, successivamente al rapporto di somministrazione e senza soluzione di continuità, la società utilizzatrice e la lavoratrice avessero stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato per ragioni sostitutive. (Trib. Milano 14/2/2007, Est. Sala, in D&L 2007, 413)
  61. Ai fini del legittimo ricorso al lavoro interinale, l’inserimento tra le attività aziendali di un’attività nuova (nella specie: il servizio di call center dedicata ad altre società del gruppo) non configura un’ipotesi di “aumento temporaneo di attività” – prevista dal contratto collettivo di categoria ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera A) della L. n. 196/97 – allorchè la scelta aziendale sia riconducibile alla necessità di tamponare una sostanziale riduzione di attività (nella specie conseguente alla perdita di appalto) con una diversificazione dell’attività stessa al fine di sanare una situazione economica grave. (Trib. Milano 30/12/2006, Est. Sala, in Lav. nella giur. 2007, 835)
  62. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 20, 4° comma, e 21 D.Lgs. 10/9/03 n. 276, le ragioni di carattere tecnico, produttivo e organizzativo che rendono lecita la stipulazione di un contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato devono essere esplicitate, in maniera che risulti effettivo il rapporto causale tra l’esigenza dedotta dall’utilizzatore della prestazione lavorativa e l’assunzione del singolo lavoratore; a tal fine è insufficiente il richiamo a una causale prevista dal contratto collettivo, in quanto generica e indeterminata in relazione alla fattispecie concreta. (Trib. Milano 9/12/2006, Est. Di Leo, in D&L 2007, con nota di giuseppe Cordedda, 126)
  63. Qualora il soggetto utilizzatore non dimostri la sussistenza delle specifiche motivazioni che giustificano il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, risulta illegittimo il termine apposto al contratto e, pertanto, il relativo rapporto di lavoro va imputato direttamente in capo all’utilizzatore e considerato a tempo indeterminato. (Trib. Milano 9/12/2006, Est. Di Leo, in D&L 2007, con nota di giuseppe Cordedda, 126)
  64. La mera indicazione di una delle cause generiche (“fabbisogni di maggiore organico connessi a situazioni di mercato congiunturali e non consolidabili”) previste dal contratto collettivo applicato dalla società utilizzatrice all’interno del contratto di fornitura non può considerarsi sufficiente per giustificare il ricorso al lavoro temporaneo in relazione alla specifica assunzione di un lavoratore. Le clausole di ordine generale contenute nel contratto collettivo devono essere specificate in relazione al singolo contratto di fornitura con indicazione della effettiva e concreta situazione che lo giustifica, pena la violazione dell’art. 1, secondo comma, l. n. 196/1997. (Trib. Padova 13/10/2006, Giud. Santinello, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Mario Emanuele, “Contratto di prestazioni di lavoro temporaneo e specificazione delle causali giustificative”, 831)
  65. Nel caso di un contratto di somministrazione a tempo determinato, le ragioni giustificative di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, di cui all’art. 20, 4° comma, D.Lgs. 10/9/03 n. 276, devono essere debitamente provate a cura dell’utilizzatore, a pena del riconoscimento dell’esistenza ab origine di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore e l’utilizzatore, e della condanna al pagamento delle retribuzioni spettanti al dipendente a far data dalla mora accipiendi del datore di lavoro (Trib. Milano 12/10/2006, Est. Porcelli, in D&L 2007, 414)
  66. Nel caso di stipulazione di un contratto di lavoro interinale a tempo determinato, qualora l’impresa utilizzatrice ometta di provare l’effettiva sussistenza della ragione che ne legittimava il ricorso, richiamata nel contratto d’assunzione, il relativo rapporto di lavoro deve essere imputato all’utilizzatore e deve essere considerato a tempo indeterminato, sempre che l’originaria apposizione del termine risulti in violazione della disciplina propria del rapporto di lavoro a tempo determinato. (Trib. Milano 12/10/2006, Est. peragallo, in D&L 2007, 132)
  67. Fermo restando, poiché lo dice espressamente la legge (art. 1, comma 1, L. n. 196/1997), che il lavoro interinale può essere giustificato solo da esigenze temporanee dell’utilizzatore, nell’interpretazione della legge e delle relative disposizioni della contrattazione collettiva, al fine della ricostruzione della comune intenzione delle parti, le esigenze temporanee possono essere individuate con formulazioni generiche nell’ambito delle quali sono sussumibili diverse fattispecie concrete. Questa interpretazione è coerente con lo spirito della legge 196 con la quale il legislatore volle fornire all’imprenditore – dopo aver già ampliato il campo di applicazione del contratto a termine in forza dell’art. 23 della L. n. 56/1987 – uno strumento di flessibilità molto più significativo, pur preoccupandosi di fissare i presupposti e requisiti di funzionamento dell’istituto e di approntare un apparato sanzionatorio che dessero garanzia di serietà e tutela dei lavoratori. (Trib. Milano 21/3/2006, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2006, 1137)
  68. Se da una parte non è richiesta per la legittimità del lavoro temporaneo, a norma degli artt. 1 e 3, comma 1, lett. a, L. 196/1997, la specificazione delle causali del ricorso al lavoro temporaneo che, possono, quindi, essere indicate anche genericamente, dall’atra incombre sull’impresa utilizzatrice l’onere della prova dei motivi del ricorso al lavoro temporaneo rigorosa non meno di quella richiesta per il contratto a termine. (Corte app. Milano 22/2/2006, Pres e Rel. Salmeri, in Lav. nella giur. 2006, 1136)
  69. È costituzionalmente illegittimo – per violazione dei principi di ragionevolezza e di tutela del lavoro – l’art. 117, comma 1, lett. c), l. n. 388 del 2000, che ha modificato l’art. 10, comma 2, l. n. 196 del 1997 (ora abrogata dal d.lgs. n. 276 del 2003, ma applicabile ratione temporis), prevedendo che nel caso di mancanza di forma scritta del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, questo si trasforma in contratto a tempo (non – come in precedenza – indeterminato, bensì) determinato alle dipendenze dell’impresa fornitrice. (Cost. 16/2/2006 n. 58, Pres. Marini Red. Bile, in Giust. Civ. 2006, 761)
  70. È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 35 Cost. l’art. 117, comma 1, lett. c), della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -–Legge finanziaria 2001) che del tutto irragionevolmente ha sostituito le parole “a tempo indeterminato” con le parole “a tempo determinato” nel secondo periodo del comma 2 dell’art. 10 della legge 24 giugno 1997, n. 196 (Norme in materia di promozione dell’occupazione), concernente il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. La norma ha infatti introdotto, nel caso di mancato rispetto della forma scritta, una sanzione per il datore di lavoro che si traduce in un regime deteriore per il lavoratore. A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale riprende vigore l’originaria previsione (secondo cui, ove il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo fosse stato privo della forma scritta o dell’indicazione della data di inizio e termine dello svolgimento dell’attività lavorativa presso l’impresa utilizzatrice, si trasformava in contratto “a tempo indeterminato” alle dipendenze dell’impresa fornitrice). (Cost. 6/2/2006 n. 58, Pres. Marini Red. Bile, in Dir. e prat. lav. 2006, 576)
  71. È costituzionalmente illegittima, per violazione dei principi di irragionevolezza (art. 3 Cost.) e di tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni (art. 35 Cost.), la norma anche se ormai abrogata (art. 117, comma 1, lett. C), l. 23 dicembre 2000, n. 388) che, per il (vecchio) lavoro temporaneo, prevedeva in caso di illegittimità la conversione del contratto a tempo “indeterminato” in contratto a tempo “determinato”. (Cost. 6/2/2006 n. 58, Pres. Marini Rel. Bile, in Lav. Nella giur. 2006, con commento di Mariele Cottone, 865)
  72. La l. 196/1997 – che ha introdotto nel nostro ordinamento il c.d. lavoro interinale – non pone alcun divieto al successivo reimpiego dello stesso lavoratore presso la medesima azienda utilizzatrice, anche con identiche mansioni, in virtù di un nuovo ed autonomo contratto di prestazione di lavoro temporaneo, in quanto la legge non pone alcun limite al numero delle assunzioni né alcun divieto alla destinazione del lavoratore. (Corte appello Torino 18/4/2005, Est. Peyron, in Lav. nella giur. 2005, 1097)
  73. Ai sensi della L. n. 196/1997 vige l’obbligo per il datore di lavoro di individuare di volta in volta per ciascun lavoratore le situazioni concrete presenti nella realtà che integrino gli estremi delle ipotesi delineate in astratto dalla contrattazione collettiva che giustifichino al ricorso al rapporto di lavoro di fornitura di lavoro temporaneo. (Trib. Bologna 3/5/2005, Est. Dallacasa, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Alessandro Marin, 75)
  74. La funzione essenziale di sostituzione che costituisce la particolare causale del contratto di lavoro temporaneo, se può ammettere la compresenza per alcuni giorni del sostituto e del sostituito al mero scopo del passaggio delle consegne, non può consentire che la compresenza sia finalizzata al tirocinio del nuovo assunto e si prolunghi oltre i pochissimi giorni. (Trib. Milano 16/4/2005, Est. Frattin, in Orien. Giur. Lav. 2005, 309)
  75. Nel caso di stipulazione di un contratto di lavoro interinale a tempo determinato, qualora l’impresa utilizzatrice ometta di provare l’effettiva sussistenza della ragione che ne legittimava il ricorso, richiamata nel contratto di assunzione , il relativo rapporto di lavoro deve essere imputato all’utilizzatore e deve essere considerato a tempo indeterminato, qualora l’originaria apposizione del termine risulti in violazione della disciplina propria del rapporto di lavoro a tempo determinato. Nel caso di conversione di un rapporto di lavoro – originariamente sorto come lavoro interinale a tempo determinato, – in rapporto a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore, è inefficace il licenziamento operato implicitamente allontanando il lavoratore allo scadere del termine, con conseguente diritto del lavoratore al pagamento di ogni retribuzione perduta (nel caso di specie, il lavoratore era rimasto assente dal lavoro a seguito di infortunio e il rapporto non era più proseguito in quanto l’infortunio stesso si era concluso dopo lo scadere del termine originariamente apposto al rapporto di lavoro). (Trib. Milano 22/11/2004, Est. Ianniello, in D&L 2005, con nota di Andrea Leone D’Agata, “Lavoro interinale e licenziamento per scadenza del termine”, 145)
  76. Il legislatore ha affidato alla contrattazione collettiva “di categoria” (e non a quella in generale, da scegliersi di volta in volta) l’integrazione del precetto normativo sulla possibilità a certe condizioni di prorogare il termine di scadenza del contratto originario. L’art. 28 del Ccnl dei dipendenti delle imprese di fornitura di lavoro interinale adempie espressamente a questo compito “riempiendo” di contenuto il precetto normativo (art. 3, comma 4, L. 196/1997) e venendone a fare parte integrante. (Corte d’appello Torino 27/9/2004, Pres. Girolami Rel. Sanlorenzo, in Lav. nella giur. 2005, 291)
  77. Alla stregua di una comparazione di tipo strutturale tra le fattispecie di reato rispettivamente punite dall’art. 2, l. 23 ottobre 1960 n. 1369 e dall’art. 18 D. Lgs. 10 settembre 2003 n. 276, si è verificata una abrogazione con effetto solo parzialmente abolitivo, giacchè solo alcuni fatti puniti dalla legge n. 1369/1960 non costituiscono più reato (la somministrazione di lavoro da parte di agenzie private abilitate e nelle ipotesi consentite), mentre per i residui casi, che rientrano nell’ambito della nuova fattispecie penale, sussiste un nesso di continuità normativa tra il precetto previgente e quello attualmente riformulato dagli artt. 4 e 18, ultimo comma, D. Lgs. N. 276/2003 valore di interpretazione autentica vincolante. (Cass. 25/8/2004 n. 34922, Pres. Dell’Anno Est. Squassoni, in Dir. e prat. lav. 2004, 2527)
  78. Il recesso dell’impresa utilizzatrice da un contratto di lavoro interinale illegittimo equivale a un licenziamento che, in quanto privo di giusta causa e/o giustificato motivo, dà luogo alle conseguenze di cui all’art. 18 SL. (Trib. Milano 17/11/2003, Est. Negri della Torre, in D&L 2004, 93)
  79. Spetta all’impresa utilizzatrice l’onere di provare il rispetto del limite massimo percentuale di lavoratori che possono essere utilizzati con contratto di fornitura di lavoro temporaneo, stabilito dalla contrattazione collettiva. (Trib. Milano 17/11/2003, Est. Negri della Torre, in D&L 2004, 93)
  80. Non sussiste il diritto del lavoratore interinale alla prosecuzione del rapporto di lavoro quando questo si è concluso per il sopraggiungere del termine, anche se le esigenze produttive del datore di lavoro, motivo di ricorso a lavoratori interinali, proseguono. (Corte d’appello Torino 30/6/2003, Est. Buzano, in Lav. nella giur. 2003, 1170)
  81. Nel determinare le regole per la “gestione” del lavoratore interinale deve considerarsi quale “contratto base” il solo contratto di prestazione di lavoro temporaneo; ne consegue che, anche ai fini della determinazione della durata della prestazione, deve ritenersi quale unico parametro temporale quello indicato nel contratto stipulato tra l’impresa fornitrice ed il lavoratore, risultando del tutto irrilevante l’eventuale diversa indicazione contenuta nel contratto di fornitura. (Cass. 27/2/2003, n. 3020, Pres. Mileo, Rel. Guglielmucci, in Lav. nella giur. 2003, 535, con commento di Susanna Palladini)
  82. Nel caso in cui il contratto di prestazione di lavoro ed il contratto di fornitura prevedano un diverso termine finale del rapporto di lavoro interinale, ai fini dell’applicazione della sanzione ex art. 10, 3° comma, L. 24/6/97 n. 196 ha unicamente rilievo il termine previsto dal primo dei due contratti indicati, che costituisce per il lavoratore la fonte esclusiva della disciplina normativa del suo rapporto di lavoro. (Cass. 27/2/2003 n. 3020, Pres. Mileo Est. Guglielmucci, in D&L 2003, 311)
  83. In un rapporto di lavoro interinale l’insussistenza, in concreto della giustificazione dedotta dalle parti per la sottoscrizione del contratto di fornitura ne causa la nullità, e comporta, a norma dell’art. 10 comma primo, L. n. 196/1997, l’applicazione delle conseguenze sanzionatorie previste dall’art. 1, comma quinto., L. n. 1369/1960. La nullità del contratto non libera il fornitore che, in forza del principio dell’apparenza e dell’affidamento, è responsabile nei confronti del lavoratore, nei limiti degli obblighi assunti con il contratto di lavoro temporaneo. (Trib. Bologna 6/11/2002, n. 834, Est. Dallacasa, in Lav. nella giur. 2004, 168, con commento di Fabio Pantano)
  84. L’art. 3, 4° comma, L. 24/6/97 n. 196 – a norma del quale il periodo di assegnazione inizialmente stabilito in un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo può essere prorogato nei casi e per la durata previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria – esprime il principio secondo il quale non può essere protratta a tempo indefinito la trilateralità del rapporto per la medesima esigenza dell’impresa; conseguentemente detta norma deve ritenersi violata anche quando l’assegnazione all’impresa utilizzatrice, dopo essere stata prorogata sino ai limiti massimi previsti dalla contrattazione collettiva, sia ripresa, per lo svolgimento della medesima attività, dopo un solo giorno di sospensione. (Corte d’Appello Milano 5/10/2001, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in D&L 2002, 96)
  85. Il contratto a tempo determinato per prestazioni temporanee che sia stato ripetutamente prorogato oltre i limiti previsti dalla contrattazione collettiva deve ritenersi nullo in quanto estraneo alle ipotesi legali di legittima scissione tra datore di lavoro ed utilizzatore della prestazione; ne segue che il lavoratore deve ritenersi alle dipendenze dell’impresa utilizzatrice e che deve farsi applicazione delle sanzioni previste dalla L. 18/4/62 n. 230 per il caso di assunzione a termine al di fuori delle ipotesi consentite. (Corte d’Appello Milano 5/10/2001, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in D&L 2002, 96)
  86. L’indicazione di un termine finale al contratto di lavoro temporaneo, formulato in maniera indeterminata e non ricavabile neppure per relationem, comporta l’assenza del requisito di cui all’art. 3, comma 3, lett. g, L. n. 196/97, con conseguente trasformazione in contratto a tempo indeterminato alle dipendenze dell’impresa fornitrice, ai sensi dell’art. 10, comma 2, L. n. 196/97 (Trib. Torino 31/10/00, est. Visaggi, in Lavoro giur. 2001, pag. 871, con nota di Palladini, Apparato sanzionatorio e lavoro interinale: considerazioni sull’applicazione della norma e successiva “correzione” della sanzione)
  87. Nel caso in cui, in ragione delle clausole del capitolato d’appalto, l’impresa appaltatricesi obblighi a porre a disposizione dell’Amministrazione appaltante uno o più lavoratori da essa dipendenti, affinché questa ne utilizzi la prestazione lavorativa per sopperire ad esigenze determinate dalla temporanea assenza di alcuni dipendenti, e qualora il corrispettivo, pagato all’impresa appaltatrice nella misura stabilita, sia determinato in applicazione del contratto collettivo di riferimento per la categoria del prestatore d’opera e non, invece, con riguardo alla rilevanza della prestazione nell’economia dell’intero contratto, si ravvisa la fattispecie del contratto di fornitura di lavoro temporaneo di cui all’art. 1, L. n. 196/97; in ragione di ciò, risulta illegittima l’aggiudicazione della fornitura ad imprese non iscritte nell’apposito albo di cui all’art. 2 della citata legge ( Consiglio di Stato, sez. V 29/5/00, n. 3098, pres. Allegretta, in Lavoro nelle p.a.2000, pag.894, con nota di Di Lascio, La fornitura di lavoro temporaneo come elemento di qualificazione giuridica dei contratti di appalto)
  88. In applicazione del 2° comma dell’art. 10 della legge n. 196 del 1997, il prestatore di lavoro temporaneo assunto a tempo determinato dall’impresa fornitrice, il quale protragga l’esecuzione della prestazione oltre dieci giorni dalla scadenza del termine stabilito dal contratto, acquisisce il diritto all’assunzione a tempo indeterminato alle dipendenze dell’impresa utilizzatrice dalla scadenza del suddetto termine (Pret. Torino 29/6/99, est. Re, in Dir. Lav. 2000, pag. 3, con nota di Sciotti)